Pubblichiamo un articolo molto interessante del quotidiano di Barcellona "La Vanguardia" che parla dell'internazionalizzazione dei consumi alimentari e del ruolo che l'ambiente e l'etica sociale hanno nelle nostre scelte alimentari.
[fonte La Vanguardia]
Ambiente ed etica sociale influiscono sempre di piu' al momento di scegliere che cosa mangiare
Rosa M. Bosch
“La Vanguardia” (Spagna) - 7 dicembre 2008
Ogni giorno due milioni di persone dei paesi ricchi mangiano il persico del Nilo, un pesce introdotto nel lago Vittoria che ha fatto scomparire 200 delle 300 specie autoctone che abitavano in questo ambiente lacustre tra Tanzania, Uganda e Kenia. Il persico consumato in Occidente servirebbe per coprire le necessita' proteiche di base di un terzo della popolazione denutrita che vive intorno al lago.
L'importazione del persico del Nilo, dei gamberoni africani, della frutta tropicale e di tanti altri alimenti dall'Africa, dall'Asia o dall'America Latina controllati da grandi multinazionali non sempre contribuisce ad eradicare la poverta' da questi paesi. Concetti come l'etica sociale ed il rispetto dell'ambiente vengono avanti al momento di scegliere come mangiare.
Veterinari senza frontiere e' una delle Ong che denunciano come casi come quello del persico
vanno contro la sovranita' alimentare, concetto sviluppato dal movimento internazionale Via Campesina nel 1996 che difende il diritto dei popoli ad avere nelle proprie mani il controllo delle sue risorse naturali. Il persico del Nilo illustra questo concetto: adesso la pesca nel lago Vittoria e' nelle mani di grandi operatori, impoverendo i pescatori tradizionali, come attestato dal film documentario “L'incubo di Darwin”.
Di fronte alla minaccia del cambiamento climatico e' uscito fuori l'allarme per il consumo di combustibile e l'aumento di emissioni di CO2 derivati dal trasporto degli alimenti su lunghe distanze. e' l'impronta ecologica degli alimenti. e' sostenibile e salutare mangiare uva coltivata in Cile invece di quella maturata nella regione spagnola del Penedes? Dobbiamo comprare dai paesi poveri per aiutar la loro economia? “Non ha senso mangiare frutta che viene dall'altro capo del mondo e che coltiviamo anche qui. Questo commercio internazionale e' insostenibile dal punto di vista ambientale e sociale; va a vantaggio solo delle multinazionali e dimentica i piccoli agricoltori”, spiega Esther Vivas, della rete del consumo solidale.
“Quello che mangiamo viene determinato da interessi economici che soddisfano le nostre necessita' alimentari”, aggiunge. In sostanza, mangiando una banana del Centro America noi non riempiamo il portafogli “dell'agricoltore che l'ha coltivata ma della multinazionale che la commercia”. Vivas ammette il commercio su lunghe distanze solo per quei prodotti “che non crescono nei nostri territori, come caffe', cacao, quinoa ecc”.
Organizzazioni non governative come Greenpeace condividono questa visione. “Puntiamo sui prodotti locali e di stagione perche' le esportazioni agroalimentari comportano una spesa rilevante di combustibile e distruggono il territorio; siamo a favore della sovranita' alimentare, i popoli devono alimentarsi da soli”, dice Juan Felipe Carrasco, di Greenpeace. Carrasco insiste sulle piantagioni su larga scala di soia in Argentina che “hanno distrutto migliaia di ettari di boschi e di terreni di coltivazioni familiari. Anche se quello dei transgenici e' un altro argomento, Carrasco sottolinea che questo modello ha espulso centomila agricoltori argentini dalle loro terre, trasformando il suolo in una risorsa fortemente degradata.
Per Intermon Oxfam la questione dell'impronta ecologica non e' sufficiente per macchiare di infamia i prodotti che arrivano da altri angoli del pianeta. “Non possiamo approvare che si smetta di comprare dai paesi in via di sviluppo e pregiudicare milioni di persone. Non sono favorevole a dire che 'locale e' migliore'”, dice Jose' Antonio Fernandez, responsabile dell'agricoltura per Intermon. “Oltre ai chilometri percorsi da un alimento, dobbiamo tenere conto di altre questioni come il tipo di coltivazione, se sono stati usati pesticidi, se e' rispettoso dell'ambiente...”.
Ai margini di queste considerazioni, in Europa e negli Stati Uniti prende quota la tendenza a consumare sopratutto frutta e ortaggi coltivati vicino a casa. Negli Stati Uniti stanno diventando popolari i mercati settimanali degli agricoltori mentre in Italia e' stata lanciata la campagna “chilometri zero”. In Spagna e' ancora agli inizi pero' piano piano sta arrivando il messaggio della positivita' dell'agricoltura di prossimita' e di quella biologica. Una delle ultime iniziative e' Catalunyam, campagna lanciata dall'associazione agricola Associació Catalana de Productors Agraris i Comerciants de la Terra per promuovere e distribuire prodotti coltivati in Catalogna e fregiati da una denominazione di qualita' o biologica. In un anno sono state commercializzate 850mila tonnellate di frutta e di ortaggi, secondo quanto afferma la Unio' de Pagesos, organizzazione agricola tra i promotori dell'iniziativa.
L'alimentazione biologica resta pero' una questione aperta in Catalogna, perche' la produzione non e' cresciuta allo stesso ritmo della domanda e la distribuzione perde colpi. “C'e' molta domanda che non siamo in grado di soddisfare, importiamo dall'Andalusia anche se, dall'altra parte, esportiamo 500mila tonnellate di frutta in Europa”, dice Josep Maria Coll della Unio' de Pagesos. Un paradosso, quando si insiste proprio sui pregi dell'alimentazione locale.
lunedì 8 dicembre 2008
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